Curcuma: una minaccia per il fegato?
● A seguito della recente segnalazione dell’Istituto Superiore di Sanità di una decina di casi di epatite colestatica acuta in persone che assumevano integratori a base di curcuma, gli esperti della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE) fanno il punto della situazione
● Il rischio di danni epatici da integratori a base di curcuma esiste, soprattutto in seguito ad assunzione protratta e nelle donne anziane. Fondamentale avvertire sempre il proprio medico curante dell’assunzione di questi integratori
Riflettori puntati sulla curcuma: sebbene il suo effetto anti-ossidante sia comprovato scientificamente, nelle ultime settimane il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno segnalato un incremento esponenziale dei casi riportati in Italia di epatopatia ad impronta colestatica associata alla assunzione di integratori contenenti curcumina. Una rinnovata consapevolezza delle proprietà benefiche dei prodotti naturali ha fatto sì che negli ultimi anni si siano imposti sul mercato come alternativa ai farmaci per la cura di disturbi e patologie di carattere neoplastico, infiammatorio ed anche nelle malattie del fegato. Sia in Europa che negli Stati Uniti, il 65% dei pazienti usa preparati erboristici nella cura delle malattie del fegato, in quanto li considera sicuri, facilmente procurabili e senza effetti indesiderati dovuti a composti chimici sintetici.
Curarsi in modo naturale in linea di principio non è sbagliato – basti pensare che più della metà dei prodotti farmaceutici deriva da prodotti naturali – ma è fondamentale evitare il ‘fai-da-te’ e affidarsi a degli specialisti competenti, soprattutto in caso di patologie severe. All’interno di questo nuovo scenario la curcumina ha assunto un ruolo importante. Si tratta del principale costituente della Curcuma longa, una spezia ampiamente utilizzata per le sue proprietà biologiche anti-ossidanti, anti-infiammatorie ed anti-neoplastiche. La principale azione della curcumina è quella di limitare la produzione di radicali liberi da stress ossidativo, indotto da cause diverse, e questo ne suggerisce l’impiego nei pazienti con steatosi epatica non alcolica, ma anche con epatopatia alcol-correlata, nei quali la insulino-resistenza da una parte, l’alcol dall’altra, provocano una serie di meccanismi di perossidazione lipidica, con produzione di radicali liberi e conseguente danno epatico.
“Purtroppo però, sia i prodotti naturali che alcuni farmaci che possono essere benefici, sono potenzialmente epatotossici – avverte la professoressa Patrizia Burra, ordinario di Gastroenterologia, dipartimento di Scienze chirurgiche, oncologiche e gastroenterologiche dell’Università degli Studi di Padova e vicepresidente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (SIGE) – L’elenco dei farmaci potenzialmente epatotossici è molto lungo, come riportato nei registri e comprende almeno mille farmaci, tra cui anti-tumorali, analgesici, anti-infiammatori non steroidei, antidepressivi. Il danno epatico più comune è la necrosi degli epatociti, accompagnata dallo sviluppo di steatosi, e/o colestasi, talvolta le alterazioni istologiche sono presenti isolatamente, altre volte sono concomitanti”.
È stato rilevato come la curcumina svolga un’attività protettiva nei confronti di tali danni da farmaco, tuttavia recentemente sono stati segnalati casi di epatotossicità in pazienti che assumevano la curcumina, sia nel nostro Paese che negli Stati Uniti, dove il mercato degli integratori contenenti curcumina o altri supplementi a base di erbe, è strepitosamente esploso negli ultimi anni, con una spesa nel 2016 di ben 69 milioni di dollari. “Dall’Università dell’Arizona, a Tucson, è arrivata la segnalazione di un caso di epatite autoimmune, che si è manifestata in una donna di 71 anni che assumeva prodotti a base di curcumina per i suoi effetti protettivi nei confronti della patologia cardiovascolare – spiega l’esperta – Il quadro di epatite pubblicato dai colleghi americani si è risolto dopo sospensione del prodotto a base di curcumina, ma le transaminasi (dopo aver raggiunto un picco superiore a 300 UI/L) si sono normalizzate solo dopo 13 mesi dalla sospensione della curcumina”.
Lo studio ha fatto inoltre emergere un dato problematico nella valutazione di questi casi: “anche nella nostra esperienza – continua l’esperta – nell’anamnesi di questi pazienti e nella documentazione proveniente dai medici di medicina generale, non viene mai riportato l’uso di questi integratori. Solo in seguito ad una specifica richiesta da parte degli epatologi a cui vengono riferiti casi di epatopatia ad eziologia sconosciuta i pazienti riferiscono di assumere questi prodotti”. Questo caso ha stimolato gli autori a pubblicare una lista di punti da tenere in considerazione. “Problemi di epatotossicità sono descritti nel 5 per cento circa dei pazienti che usano integratori contenenti curcumina – prosegue Burra – Soprattutto a seguito di un uso protratto (superiore ad un mese), gli integratori a base di curcumina possono causare un danno epatico di tipo ‘idiosincrasico’ (di causa sconosciuta), dovuto forse ad alcuni componenti presenti in questi integratori che interagiscono con la curcumina, o all’interazione di questi integratori con farmaci assunti in concomitanza. Altro aspetto da sottolineare è che, nei casi descritti, appaiono a maggior rischio di epatotossicità da curcumina le donne anziane, che sono anche le più grandi consumatrici di questi prodotti e che probabilmente non lo riferiscono al proprio medico, non ritenendo rischiosa l’assunzione di questi integratori, ma anzi di beneficio per la propria salute”.
“Anche nella nostra unità – prosegue l’esperta – lo scorso anno è stata ricoverata una paziente per un episodio di epatite acuta da causa sconosciuta. In anamnesi era presente assunzione di integratori contenenti curcumina; per quanto fossero rari i casi di un evento avverso del genere riportati in letteratura, il prodotto è stato tempestivamente sospeso, e si è avuta la risoluzione del quadro epatitico. È quindi auspicabile – conclude la professoressa Burra – che vengano effettuati studi più approfonditi per identificare le persone a rischio di sviluppare danno epatico in seguito all’assunzione dei derivati della Curcuma longa, prodotto naturale che da sempre viene classificato come anti-ossidante e protettivo del danno da steatosi e da alcol e coadiuvante del ripristino della funzione epatica”.
Secondo il professor Domenico Alvaro, presidente Sige “la storia recente della curcumina deve essere di insegnamento, per alcune considerazioni a carattere generale:
1. sono assolutamente necessari accurati controlli anche per i cosiddetti ‘integratori’ che vengono messi in commercio;
2. é il medico a dover suggerire l’eventuale uso di integratori che non possono essere lasciati alla libera scelta del paziente. Questo soprattutto considerando che la nostra alimentazione è generalmente completa e non necessita di integrazioni se non in condizioni di patologia!
3. il danno epatico da farmaci o xenobiotici è nella maggior parte dei casi imprevedibile, dipendendo dalle caratteristiche genetiche del paziente: per cui alla comparsa di disturbi dopo assunzione di un farmaco occorre sempre contattare il medico”.
Fonte: Ufficio stampa SIGE